Il castello - Paolo Pennisi

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Il castello

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Il Castello
(romanzo incompiuto)

Dal diario di A.
(frammento)

Entrando in un castello si avverte aria inquieta, scricchiolano i passi calpestati della stradina che arrampica, smuovono timore le pareti di pietre incastrate da secoli, le torri strapiombanti aggrappate al cielo, soprattutto le feritoie danno paura nel buco nero del nulla, le inferriate scheletriche affidate alla prigione del muro, sembra strano che non vi si vedano mani aggrappate, non si colga l'impressione in controluce di un prigioniero, una donna senza più destino, forse la inseguono per le sale del castello, è raggiunta, le scoprono il seno e l'afferrano da dietro, il mostro la penetra, mentre grida insensata la sua bocca digrigna un sorriso che so essere di piacere. Sarà capito tutto questo?

Il cielo sbava grigiastro, scavato dalla polvere ferrigna sollevata dal vento, raschiato all'orizzonte dalle creste dei monti, limato, la pioggia verrà, deve venire, la pietra si fa più scura, le ossa squadrate del castello illividiscono e sporcano corrosioni come un lampo subito accecato, nella memoria diviene il ricordo di qualcuno che sta perdendo la propria identità.Perché io sto diventando pazza, almeno così sembra, c'è qualcosa che non marcia bene dentro.

Tira vento fuori, il suo urlo prega chinato sulle pietre, respira a singhiozzi il frastuono tra gli alberi, scuote i rami e trapassa foglioline atterrite di emozioni, di inganni, di tinte delirate in giallo e verde ambra. Gli alberi... impalati, non conoscono la pazzia, sanno resistere alla follia dellincessante fremere dalle radici ai germogli, lassù in alto tra i rami sparpagliati, e le foglioline, sottilissimi fogli di pergamena trasparenti, invertebrate incertezze tremolanti, che il vento investe tremanti di erotismo, rabbioso le scuote le distacca a morte, d'inverno ne abbatte a migliaia, a grappoli, e prima nell'agonia dell'autunno ormai morenti e non perché sono impazzite. Solo in quel momento le viscere del tronco si quietano nel calore perduto, ecco la morte, per alcuni apparente, una finzione, per altri invece è la fine di tutto. "E' questo che atterrisce, morire di pazzia prima che l'altra morte ti copra d'immobilità e cominci a corrodere, non come adesso solo il cervello e le fantasie, ma le ossa la pelle la carne.

Attorno al castello strisciano disordinati i viali, si intrecciano divagando (Dio, non so più spiegarmi!), voglio dire che salgono uno dopo l'altro dal basso verso l'alto portando su il fardello dei passi degli uomini (non verso il cielo, non pensatelo nemmeno!), ma pestati sul terriccio e il fango della terra che arrampica in declivio, che monta in collina, e girano di tanto in tanto (i viali, si capisce, Dio!), ora nascosti dalle curve o dagli alberi, in prospettiva squinta la foresta, scenario informe nellagitazione del vento.

Parlavo del vento, ora ricordo. Uno strappo di vento si è portato appresso fantasmi, entrati nel cervello mi scuotono, dita invisibili penetrano il mio sesso in cerca dell'orgasmo, e gli spettri, alle loro unghie concedo paurosa il clitoride che feriscono a sangue mentre chiedo pietà urlando di dolore, un piacere affamato a cui non so rinunciare, le ombre trapassate di rosa dai nostri occhi di esseri viventi, agitate dalla mano che saluta, tremano le dita nel vuoto, tremula - la vedo - una candela portata in giro nella stanza solitaria (o coglie una rosa?, o tiene ben ferma una pala per scavare la fossa? O è pronta a scagliare una pietra contro i miei nervi scoperti?).
Io che sono pazza - ne sono convinta - ne ho tante nel cervello di nervature intrecciate, di terrori affondati nelle memorie impossibili a cancellare, che non fanno gioire né danno tranquillità, che allentano i saldi bulloni dell'equilibrio.

Il dottor K.
(frammento)

Cartella clinica n° 11139. Ananke Penn, di anni trenta (è nata l'11 gennaio del 1939) a Venezia, apolide, di sesso femminile, ricoverata dal 30 settembre 1966. Ha scelto volontariamente la nostra casa di cura perché è situata nel vecchio castello di Thoren, ristrutturato alla bisogna. Ha scelto lei stessa la stanza, una cella che si affaccia a picco sul burrone.

Anamnesi: Il padre, Jordan Penn, di origine tedesca, è morto all'età di 77 anni, ictus cerebrale. La madre, Amalia Guida, veneziana, è vivente. Non ha fratelli. Nessuna malattia particolare da segnalare. La diagnosi di ricovero è schizofrenia acuta in soggetto fallico. Fisicamente è molto debilitata. Fa uso di psicofarmaci. E' entrata da noi parlando di sé al maschile, considerandosi appunto un uomo.

In occasione della richiesta di ricovero ha consegnato una sua memoria, che si allega. Naturalmente è scritta al maschile. Porta la data del 1960, poi cancellata in successione '61 e '62. In basso porta un'altra data ancora, il 1260. Ho chiesto che cosa significhi. Siamo in pieno medioevo, mi ha risposto, allora ero un uomo. Mi ha spiegato, fumando (dovrei dire assorbendo) una sigaretta, che allora il piacere più grande era lo stupro di donne, il dominio del maschio sulla paura delle vergini, sul loro terrore, sulle lacrime e la rassegnazione dei giorni che sarebbero venuti. Solo il castello ha mura che proteggono - ha aggiunto serrandomi il braccio con forza, accostandosi a me, gli occhi sbarrati e un sorriso aspro - solo quelle mura possono dare serenità.

Riportiamo qui di seguito quanto ha scritto.

Ho sempre desiderato vivere in solitudine in un castello. Cominciò da bambino l'ossessione di poter un giorno visitarli tutti, come avessi potuto farlo non so, né so dire perché questa follia ebbe inizio. In particolare mi attiravano le torri, le vedevo come mute amiche insolenti a cui potevo girare intorno con la segreta speranza di scorgervi qualche crepa, una fessura o slabbrature, un'apertura qualsiasi in cui potermi infilare e rimanere lì, protetto nell'umido e nell'ombra, ma nello stesso tempo mi pareva di potere, in questo modo, violare il segreto più intimo di un passato a me sconosciuto. Curiosavo ogni piccola ferita del muro, quelle appena socchiuse come labbra serrate sui denti, a splendere a mordere a ridere se le labbra erano d'amore.
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