1972 Venezia Traghetto - Paolo Pennisi

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1972 Venezia Traghetto

(Estratto dal catalogo)



Dopo la serie di citazioni tratte dalle pubblicazioni sotto indicate
(E. Hoxha, 6° Congresso del partito del lavoro di Albania, 1° -11-1971, trad. Nuova Unità, n. 24. a. VIII). (K. Marx, F. Engels, DIE deutsche ideologie, 1845-46, traduzione di Codino, 1958, pag. 413-5). (Lenin - l'organizzazione del Partito, la letteratura del Partito). (Marx-Engels, Die deutsche ideologie - 1845-46, trad. di Codino, 1958 pagg. 22-24). (M. Costa, problematica del rapporto struttura-sovrastruttura, pag. 17, commento a K. Marx, pref. ed introduz. a «Per la critica all'economia politica», Roma 1958). (K. Marx F. Engels, Die deutsche ideologie). (Mao Tse-Tung, discorso di chiusura, parte IV, 23 maggio 1942-Ed. Oriente pag. 131). (K. Marx, F. Engels, Die deutsche... pagg. 413-5). (A. Gramsci, in «Ordine Nuovo», 14-6-1919, non firmato. In « La cultura del novecento...». pagg. 154-55).(K. Marx, ockonomisch philosophische manuskripte. 1844, pag. 198, trad. di C. Salinari).

Analisi e critica di Paolo Pennisi

Ha una qualche utilità oggi tenere una mostra delle proprie opere in una galleria d'arte? In una società borghese come la nostra, nella posizione equivoca che l'artista ricopre, chiuso nel circolo organizzato e senza orizzonti del mercante, del collezionista e del critico, che senso di necessità e di coerenza può avere ancora una mostra che voglia portare in sé temi di ricerca il cui linguaggio sia A FAVORE di una parte della società e CONTRO l'altra parte?

E' una domanda che può essere rapportata a mio avviso a tutta l'organizzazione della nostra società, è una analisi di situazione che non può essere posta in disparte se si vuole AGIRE contro strutture sorpassate o peggio errate o ingiuste, ed insieme non rimanere sul piano della lotta teorica, accettandone i compromessi sul piano dell interesse pratico.
Un punto radicato nella mentalità e nella cultura della nostra società è quello di individuare nell'artista un essere del tutto libero, incapace di regole che lo impegnino sul piano di scelte politiche e sociali, unico tra gli uomini a cui non è richiesto di agire per scopi delimitabili in esigenze reali, a cui non è richiesto di comunicare con un linguaggio comprensibile (per linguaggio comprensibile non si intende espressione genericamente collegata al concetto di REALTA', In senso tradizionale o visivo) con quelli che dovrebbero essere i suoi fruitori naturali, per problematiche che possano in qualche modo intervenire in aiuto chiarificatore a classi sociali sul piano della lotta per un più giusto modo di vita.Una delle cause principali dell'affermarsi di questo concetto borghese dell'individualismo, è la divisione del lavoro in manuale ed intellettuale, per cui ad alcuni è riconosciuto il diritto al pensiero (il superuomo), mentre alle masse questo diritto è vietato. Appare chiara, alla luce di questa divisione, la logica che domina il funzionamento artistico e culturale del capitalismo.

La necessità ossessiva di tanti artisti a creare un mondo in cui RIFUGIARSI (non da proporre quindi positivamente), il tentativo di imporre il proprio superio, ed insieme il generarsi di ansie ed incertezze che tanto agitano il mondo artistico del nostro secolo, sono l'evidente derivazione del tentativo di ognuno di «distinguersi» per evitare di venire intruppato in quella che il mondo borghese spregiativamente definisce «massa». Il sistema da a questo malessere di base una radice a carattere psicologico, esaltando cioè la figura dell'artista-guida anticipatore dei tempi, riportandola quindi al singolo individuo (individualismo), con una evidente analisi mistificata della realtà.
L'individualismo, la libertà di espressione, l'indiscriminata autonomia della produzione artistica appaiono oggi le massime necessità «naturali» riconosciute all'artista. Questa polverizzazione delle libertà, una per ogni artista, permette la nascita e la circolazione di molteplici linguaggi, di proposte sempre più estranee alla realtà sociale che si vive, inutili alle nuove necessità della classe sociale in ascesa.

Così da un lato, sempre più spesso i linguaggi adoperati ed «inventati» si etichettano come esperienze soggettive, più esattamente fenomeni extemporanei o di moda, in cui la necessità ultima del fruente non esiste più, sostituita invece dalla esaltazione che ne viene fatta dalla cultura ufficiale per prima, accettata dal capitale che trasforma, nel pieno rispetto della sua feroce logica di corruzione e di sfruttamento delle idee per un vantaggio economico, l'esigenza di verità quale dovrebbe essere la ricerca artistica, in una necessità economica.Dall'altro lato poi, si assiste (fenomeno questo più grave per le conseguenze che comporta) ad una trasformazione del prodotto artistico, che viene ad acquistare un suo valore obbiettivo sovrastante il creatore stesso, dando luogo al processo di alienazione anche nel campo dell'arte, quando per alienazione si intende incapacità di comunicare, di inserirsi nella struttura portante della società, di proporre creativamente e a «vantaggio di», piuttosto che limitarsi alla denuncia del negativo.

E' questa in sostanza della denuncia di ciò che è errato e della incapacità a proporre del nuovo la posizione più diffusa dell'artista impegnato nella civiltà contemporanea.
E' ovvio perciò, per il vantaggio che queste posizioni portano alla cultura borghese, che la nostra società attualmente al potere, appoggi i due aspetti del fenomeno, incoraggi questa LIBERTÀ priva di impegni programmatici, celi la sua crisi profonda di contenuti, per inserirli nel grande gioco della cultura, parola quest'ultima che assurge così ad idolo feticistico del nostro tempo. Analizziamo ora il processo che porta l'artista e la sua opera verso il fruitore più o meno naturale. La varietà e la personalizzazione delle espressioni artistiche portano come conseguenza alla incomprensione tra artista e fruitore; l'artista, non capito, viene escluso dal tessuto operativo della società.Nel tentativo di reinserimento, nascono le figure dei mercante d'arte e del critico, intermediario il primo per il fattore economico, il secondo per la problematica intellettuale. Il mercante assume l'impegno garante della reale valutazione economica dell'oggetto-quadro scultura, il critico si fa garante sul piano di quei contenuti che, secondo l'artista, esistono, ma che il fruitore non riesce a cogliere. Questo primo processo si conclude in modo naturale nella figura dell'acquirente, colui al quale va l'opera così rigenerata e inserita nel tessuto sociale.La galleria d'arte diviene il luogo garante della serietà e qualità dell'operazione culturale-finanziaria. Tuttavia questo processo di reciproci interessi inevitabilmente si è evoluto, degenerandone i rapporti iniziali. Il più macroscopico è quello che ha portato la figura del critico a scavalcare l'artista e a divenire il vero motore del processo creativo.
L'artista infatti, nell'ansia di affermarsi e di mantenere le posizioni raggiunte, accetta, spesso scientemente, di *sostituire al proprio linguaggio una propria moda, secondo dettato del critico che, forte del potere che si arroga (e che obbiettivamente e sempre più gli viene riconosciuto) di unico ca-pace di garantire la verità dell'opera, diviene l'ispiratore più o meno scoperto dell'artista, ed insieme il suo mèntore e molto spesso il suo distruttore.

Accanto, il mercante crea, per il medesimo processo di trapasso di poteri, la figura del collezionista in sostituzione del fruitore inteso come struttura vitale della società. E la figura del collezionista perciò che, accettando la doppia mediazione e riconoscendo così la propria inferiorità sul piano della comprensione diretta, permette a tutto il sistema di affermarsi e consolidarsi, in un circolo chiuso in cui ognuno non può più fare a meno dell'altro.
Bisogna aggiungere che la figura del critico appare la più forte, anche se sul piano oggettivo è quella più strettamente legata all'idea dello sfruttamento e del parassitarismo.La galleria d'arte scade a semplice centro di raccolta e di esposizione di oggetti il cui unico scopo è quello di essere venduti.
Il complesso del fenomeno infine si accompagna indissolubilmente a continue dichiarazioni di fede, a scritti e presentazioni il cui linguaggio è sempre più ermetico ed incomprensibile, costruito di cerebralismi sganciati da ogni realtà presente o futura, con l'unico scopo di celare la prima realtà che ormai muova il meccanismo dell'arte, l'interesse economico. Da questo ciclo infatti, a cui partecipano le sole classi economicamente forti, sono escluse le classi operaie e proletarie, che nonostante siano la componente operativa della società, si vedono private di ogni possibile parte positiva del ciclo dell'arte.
L'idea dell'arte per l'arte, del suo valore universale ed eterno, conserva il suo fascino pressoché intatto non solo presso le forze conservatrici, ma anche presso le correnti di una certa estetica cosiddetta marxista, ie quali riescono solo, in ultima analisi, ad ottenere dei risultati contraddittori e confusi sul piano di un vero aggancio a quella «diversa» realtà che pretenderebbero di rappresentare. In termini più espliciti, con un linguaggio ed una estetica comprensibili ad una élite, estranei alle masse però, questa critica non è una staffetta all'avanguardia del grosso dell'esercito, ma solo un drappello che ne ha perduto i contatti.

Bisogna invece potere e sapere creare un linguaggio di classe per la classe che si vuole rappresentare e a cui si vuole appartenere, convincersi che troppo spesso linguaggio ed arte marxisti così come oggi vengono presentati, offrono vantaggi ad altre classi sociali che da sempre hanno sostenuto, con cognizione del loro interesse particolare, l'equivoco dell'arte come cultura, generalizzata soddisfacendo così la presuntuosa preparazione universitaria ed insieme l'animismo ideologico e perbenista che non va oltre ciò che è di moda, fruitori ladri di un qualcosa acquistato solo perché si ha il denaro per farlo.L'arte deve invece servire a coloro per i quali è stata creata, deve riconoscersi nelle matrici storiche e sociali corrispondenti. L'arte quindi oggi può essere solo verità, devo sapere rinunciare all'idea generica di bellezza. L'equazione arte = bellezza non ha alcun significato, se il termine bellezza non trattiene in sé una identificazione precisa in rapporto alle reali esigenze dell'attuale complesso sociale, il rapporto arte = verità invece appare valido perché comprensibile, quando la parola arte sappia racchiudere in sé politica, ideologia, lotta di idee.

Oggi l'impegno per chi agisce nel campo dell'arte può e dove trovare ispirazione nell'ambito umano della lotta di classe, affinché l'artista possa di nuovo SERVIRE su posizioni d'avanguardia accettate dalla base, e non esistere per il solo strumento economico. A chi servire?, a tutti quelli a cui l'arte necessita, per dare una propria cultura in opposizione e in rovesciamento alla cultura di classe che è al potere, a chi cerchi elementi di collegamento e di avanguardia; e ancora, che sia un'arte che sappia mostrare chiaramente i legami con quella che è la giusta realtà della nostra società. Oggi perciò questa mostra è per me un tentativo (non vi sono risoluzioni ma solo analisi nella proposta dei temi dello sfruttamento e dell' oppressione) a concretizzare una situazione individuale che potrà forse anche interessare una certa parte del collettivo ideologico d'oggi, un tentativo di ordinare gli elementi adatti e necessari per intenderci su basi che si identifichino con la corretta ricerca del giusto posto dell'artista e di chi con l'artista collabora, cioè di tutti gli altri e non solo dei pochi presunti iniziati. Chiedersi se sia ancora valida la figura dell'artista, così come fino ad oggi si presenta e viene idealizzata, è l'ultimo, ma forse il principale obbiettivo, di questa nostra analisi. Ci si deve innanzi tutto convincere che l'artista non è e non è mai stato un precursore dei tempi; si è sempre avuto invece l'artista delle maggioranze, rappresentativo delle esigenze delle classi al potere, e l'artista delle minoranze. A quest'ultimo generalmente spetta la qualifica di precursore, ma in realtà egli non è altro che il portavoce di una situazione sociale che preesiste alla sua opera, di una classe che attende solo il suo giusto tempo per divenire, a sua volta, classe al potere.
Ciò è tanto più giusto se si considera che l'artista non coglie la sua ispirazione creativa in se stesso o nella sua anima e sensibilità; ma, consciamente e inconsciamente insieme, dalla realtà che lo circonda.

Solo così sono spiegabili le differenze stilistiche delle diverse società storiche, solo così si spiegano le diverse necessità di linguaggi nei confronti delle società che hanno preceduto. Appare evidente che ogni mutamento stilistico e di linguaggio ha sempre corrisposto ad un mutamento sociale.
Per quanto riguarda la nostra situazione d'oggi, rinvio al ritratto che Marx fa dell'artista comunista, dell'artista RICONOSCIUTO dalla sua società come membro appartenente di diritto, dello stesso diritto che hanno gli altri uomini, inserito in una società senza sfruttati e sfruttatori. E' una figura originale, estremamente onesta e coerente, per alcuni aspetti già esistente nella nostra società anche se solo per cause di forza maggiore.Ma quanti saranno disposti ad accettarla?
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