1982 Venezia S. Leonardo - Paolo Pennisi

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1982 Venezia S. Leonardo

(Estratto dal catalogo)



Presentazione di Toni Toniato

L'odierno comportamento dell'arte non sembra così stravagante e spontaneo come esso tende a far credere bensì si muove, accortamente pilotato, da un lato, su illusone liberazioni individuali e, dall'altro, presta invece un'attenzione ugualmente irresistibile verso spazi espositivi di prestigio e di mercato e così esclude ogni circuito di più vasta ed immediata socialità. L'impegno che ha caratterizzato negli anni precedenti il lavoro degli artisti si indirizzava viceversa a privilegiare luoghi meno tradizionali ed aulici, ossia ambienti nei quali il processo di partecipazione al fenomeno estetico, al di là di ogni intento pedagogico, costituiva pur sempre un rapporto di osmosi dialettica fra la personale esigenza creativa autonomamente praticata e le richieste di una committenza diversa.
Appena ieri, l'arte dunque cercava, anche attraverso una circolazione alternativa, di immettersi nel concreto della realtà sociale, sfidando passività e sospetti di un pubblico che tuttavia desiderava riconoscersi e riconoscere una cultura dalla quale era stato espropriato. Dopo le recenti utopie di una estetica generalizzata e dopo le sue pretese di precostituire l'inconscio sociale, l'artista si trova a vivere una «attualità» confinata in un «simbolico» privato, costellato di nebulose insondabili, innominabili, franante sul vuoto di una apocalisse linguistica che travolge passato e presente, frantumando la logica della coscienza nel disorientamento di una babele smisurata, dell'onnivora frenesia metropolitana. Un simbolico che si presenta con i segni della seduzione e del caos dove gravita, poi, un immaginario convulso e fatalmente stereotipo.D'altronde non basta il ritorno a una esplicita legittimazione dell'immagine per colmare le separatezze strutturali che dividono il mondo apparente dell'arte dall'irriducibilità del reale. Meno ancora si può credere di superare tali fratture mediante la complicità delle istituzioni pubbliche di cui l'uso indiscriminato non può che favorire piuttosto una cultura oscillante, come si deve già prevedere, fra l'effimero dello spettacolo e lo spettacolo dell'effimero.

Il decentramento del sistema artistico si è quindi risolto nella moltiplicazione di iniziative che non hanno cambiato di obiettivo e non sono riuscite neppure a trasformare i suoi processi e meno che mai le forme di partecipazione in un evento di reale crescita sociale. Intervenire, al contrario, su di uno spazio espositivo, indubbiamente marginale, perché sottratto al mercato e alle celebrazioni della moda, significa per l'artista rimettere in gioco anche le ragioni del proprio impegno creativo, senza insomma che siano condizionate da pregiudizi ideologici o da gratificanti riconoscimenti ufficiali. Significa riprendere il contatto le cui cause, se non mutano la diversità tra lo specifico artistico e lo specifico sociale, permettono, comunque, di allargare da questi essenziali versanti della cultura l'istanza profonda di un confronto inderogabile sulla realtà del quotidiano, sulle sue contraddizioni e sulle sue possibilità di trasformazione.

Kampus



Il potere si organizza, necessità (si deve fare, dio lo vuole, e la società), l'uomo non sa che sta per rinunciare a trasformarsi, è in marcia la spiegazione di sé, la paradigmatica per tutti, (martellando), miliardi di individui avanzano senza sapere, l'abitudine e il resto, Kampus chiude il cancello di filo spinato sul quadrato ordinato delle regole, per sempre, clich, e guai a chi cerca.

Crysis



Esplodono le questioni (e il resto), uno-due, uno-due, avanzando le richieste per cambiare, le categorie gli emarginati, i poveri, i vecchi, gli handicappati, i matti, i drogati, i morti, tutti in fila (fa ridere, ma ci si sta male) sempre.

Ideologia



Poi sorride il terrore che giustifica ogni cosa, per primo se stesso, aberrazione di chi non sa usare l'idea di sé, per secondo se stesso, per terzo, il tema è assegnato: creare la paura; svolgimento: terrore/violenza/guerra, avanti c'è posto, basta violare una donna, un bambino, due occhi, un seno, un pensiero.

Praxis



Lottare, starci, lavorare, capire, non rifiutarsi, esserci, amare, confrontarsi, credere (non fa ridere) quel giorno l'ho scelto e perciò niente da fare tornare indietro, ma ci si sta forse ancora peggio, e poi ancora in piedi, lottare, starci, lavorare, amare...

Compensazione



Se lotti, lo dicevamo prima, ce la fai, qualche volta però serve uno spazio per dirti bravo, dai che ce la fai, basta un centimetro, capisci se dico compensazione, poi dico «di te esprimi poco, le ansie, i sentimenti li divori» una poesia per te che da qualche parte ci sei.


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