1966 Venezia BLM - Paolo Pennisi

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1966 Venezia BLM

(Estratto dal catalogo)

 

Presentazione di Enzo D'Agostino
La scheda di Paolo Pennisi è ricca

Una mostra per esordienti all'età di Quattordici anni, poi il diploma dell'Accademia di Belle Arti, a Venezia. Innumerevoli esposizioni collettive e personali, premiato, ha scritto critiche d'arte. Su di lui hanno scritto critici vari e talvolta a caso.
Colto ed intelligente, sensibile ed estroso, assimilatore cosciente delle altrui conoscenze quando le ritenga per sé valide, Pennisi vuole decisamente dimostrare fin dalle prime esperienze di intendere la pittura non come un mezzo per esprimersi ma come rappresentazione autonoma, elemento essa stessa della natura. La realtà infatti in quanto esistenza di problemi di ogni ordine non lo affligge, e quanto lo tormenta è lo sforzo per penetrarla a fondo per possederla ed uscirne libero ed immune.I suoi dipinti sono: scorci di mare e di laguna in un brillio di schiume, in un brivido di luce, acque sconvolte e vorticose talvolta, immobili fino all'infinito altre volte; uomini come croci, grovigli di creature nane e contratte che nelle sembianze appaiono superare i limiti e gli sforzi sardonici della natura. Dalla malinconica uniformità di una natura vista attraverso una gamma azzurra ricca di sensibilità e di sottigliezze cromatiche, di singolari contrasti chiaroscurali, si passa dunque alla suggestiva drammatica coralità di quelle opere di maggior respiro e di più ambiziose intenzioni, in cui la tessitura del colore presenta a volte una ricchezza di pigmentazioni per linserimento di toni squillanti, a volte una monocromia fredda che avvolge ambienti e personaggi. In queste il disegno diventa scarno e deciso, la modellazione energica ed incisiva, ma è l'impasto stesso della materia a richiederlo: l'atmosfera allucinata ed astratta, conturbante e traslucida di ossessione, l'apparenza umana spogliata da ogni apporto sentimentale. Sui volti scarniti e rigati dei personaggi non sai se votati alla morte o alla ribellione, appare una gelida fissità, un senso di abbandono e di irrimediabile vacuità. Più della pietà si legge la volontà fredda di scarnificare una espressione, anatomicamente, col ritmo deciso del segno, di incidervi, al di là di ogni intento naturalista, un senso di impossibilità, di indifferenza, passivo; tanto più sono statiche le figure bloccate dal disegno e tanto più conturbante diventa la loro apparizione come in un sogno attutito.
La rappresentazione è sempre lucida ma comunica un'inquietudine psicologica che la freddezza e il distacco dal tema non bastano a vincere, anzi ne sottolineano il risvolto vagamente patetico. Pennisi pittore arrabbiato o pessimista? Nulla di tutto ciò, anzi diremo, con le famose parole di Mounier che il suo è ottimismo tragico, grondante realismo crudo ed amaro, angosciante constatazione della fragile precarietà dell'uomo per tutto ciò che lo circonda, della limitatezza, o della miserabilità della creatura umana, la cui grandezza personale è soltanto quella di sapere di essere miserabile.

"L'esistere di un uomo è sempre accompagnato, quasi nessuno lo sa, da una inquietudine, in imprevisti momenti, che improvvisamente nasce e muore, senza oggetti apparenti, e che pure resta nell'animo a testimoniare l'accaduto di qualcosa, inafferrabile, fuori e senza di noi, e tuttavia solo per noi, a che noi lo intendessimo, e ne restassimo turbati, e inquieti. Se c'è stato un momento in cui l'uomo è rimasto solo, senza le cose della natura, l'Inquietudine subito lo ha preso, fatto divenire vittima, partecipe della sua stessa esistenza, divenuto tragico, possente e vasto di forza, per quella inquietudine, ora sopita ora viva, che lo copre di prigionia, e che lui vorrebbe, sprigionando la propria forza terribile di essere creatore di vita, di respiro, e di azioni, trasumanare in conoscenza divina; il capire cioè".



Le cupole, vi è tutta la luce che sono capace di avere, tutta la malinconia quando la malinconia nasce dalla luce, tutte le favole che ho saputo dare, e gli angeli azzurri, ti lasciano, voglia di piangere, azzurri e luci che non ho avute, un'acqua di laguna che non potrò più navigare, forse una barca sottile appare, ad andare avanti indietro, ad aspettare, chi?. Un angelo si stacca nel cielo, dentro le cupole la luce muore, forse io piango, tutta la felicità mia è li dentro, tu la tieni, ti prego, e non la butti via. A chi parlavo? Respiro profondamente, e prendo vita.



L'onda deve cadere. Si alza (le gambe sono fredde nell'acqua scura) alle spalle, è nera nell'incavo e l'arco sul cielo è di bianco incandescente, il mare (e la figura curva chiara, e il cielo) precipita l'onda, lo deve fare.



Ci sono uccelli nel cielo, aumentano, girano attorno, crescono, le ali nere, la luce del cielo precipita sulla schiena del monte, dietro; si alza dalla terra la figura di un uomo, se tutto girasse o ruotasse... lentamente o con follia.



Dalla strada non ho veduto il mare, il suo colore. Una figurina da una capanna fugge, è sparita, una gamba avanti, le braccia avanti e aperte, gridava? Il quadrato della sabbia è luce, le capanne immobili, il mare azzurro incrostato di schiume, il cielo altissimo. Era esistito quell'uomo, adesso c'è luce, un po di vento, il silenzio. Pensavo a qualcosa, a... e mi sono distratto.



Da un'acqua che traspare l'oro del sole, solidifica il mare attorno le ginocchia degli uomini (questa prigionia che fa esistere e fa chinare la schiena) all'orizzonte sul mare uno scafo lancia le braccia di un uomo al cielo, e grida. Grida che succede qualcosa. Tra poco il cielo si copre di pioggia, vastissimo, neppure un colore sa di acqua, il cielo si precipita dalla terra ai venti più alti di ogni misura, scava la strada agli uomini, un uomo fugge, nel cielo è nascosta l'ombra di una ocra verde che se ne muore, tra poco una tempesta, tra poco una goccia, una sola, basta a dire che quel tempo è giunto, per questo si fugge.



Quelle case del popolo, abitate la sera quando si torna stanchi, dopo ore di lavoro, dopo un cielo che è stato azzurro e cade da lui la notte, allora succede qualcosa, succede che gli uomini precipitano sotto il cielo, e se si vuol guardare non si riesce, il lavoro stanca e ci si abitua a tutto.Se qualcuno grida entra nel cuore la voce, e non si possono guardare quei cassoni di cemento armato, denti giganti nel cielo, senza volerli spingere a crollare, per liberare il cielo che nasce, la notte, più terso e tranquillo, senza i peli ispidi del lavoro sull'orizzonte.



Una luna, sabbia silenziosa morta dal cielo, colore di freddo, e le nuvole che si alzano a stracci a montagne in una luce che ruota. Qualcosa cade, qualcosa, un amore chiuso in una capanna, ed esce dai fori dei chiodi caduti.



La strada senza nessuno, una casa rosa, un carro, a destra niente davanti niente in mezzo niente, in fondo il mare; una striscia, le onde arruffate senza rumore. Un'auto, di fronte, ha corso d'improvviso una bimba, l'investe? No, è passata anche la macchina, non c'è più. Da nessuna parte niente, sul fondo il mare. Che suono è passato su tutto questo? Nessun suono. Gli oggetti non hanno rumore, e se parlano non possono parlare.
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