(estratto dal catalogo, il catalogo cartaceo è possibile richiederlo, vedi contatti)
PITTURA SCRITTURA TORTURA
di Tommaso Trini
Nelle complesse relazioni che Paolo Pennisi ha intessuto tra la sua arte e l'universo sadiano, tra la pittura la scrittura, tra un'immagine e un'ideologia sostanzialmente irriducibili l'una all'altra, ne esiste una che resta non detta pur essendo, io credo, di notevole rilievo. Parlo della mostra. È l'occasione della sua esposizione pubblica che ha esplicitamente apparentato questa pittura con Sade, dopotutto. La pittura di Pennisi esisteva per sé e come tale si motiva anche dopo questa mostra intitolata Sadici sovvertimenti; la necessità di progettarla per una mostra vi ha aggiunto la cornice sadiana. Col risultato di sollevare questo dubbio: le mostre sono forse il passaggio osceno del fare l'arte? La risposta è sì, e consente un corollario. Non solo l'esposizione di ogni opera dellintelligenza creatrice richiede in questa società l'obscena enfasi della sua spettacolare teatralizzazione, ma essa implica pure il momento in cui si costituisce il potere della critica e del mercato; sappiamo bene quanto il destino di un'opera dipenda dall'osceno rosario delle sue pubbliche legittimazioni, come gran parte del lavoro cosiddetto critico si limiti ad abusare dell'opera nell'ora fatale della mostra. Non è questa l'ora della sua tortura? Io stesso intervengo sull'arte di Paolo Pennisi in funzione di tale proscenio, e abbocco subito in apertura alla cornice Sade che lintellettuale Pennisi ha voluto o dovuto dare alle vertigini figurali del pittore Pennisi, pur sapendo confusamente che è il cammino inverso ciò di cui la sua pittura veramente parla: della sua nascita. L'arte conosce la tortura fin dalla sua destinazione mondana.
Se Pennisi non dipinge Sade nella distanza incommensurabile che separa i suoi collages dalle pagine di Le 120 giornate di Sodoma a cui pure si riferiscono, parimenti la sua opera non si accoda alle mode più nervosamente pronunciate da altri artisti e dai critici. Nell'odierna geografia correntizia degli stili, dove vediamo di tutto e il contrario di tutto nel prevalere della qualità, esiste tuttavia il piacere di espandersi nel politeismo linguistico che consente di contaminare tra loro forme d'arte diverse, il gioco manieristico dell'ibridazione degli strumenti, e anche un po di libertà nel confondere le altrui aspettative. Bricolando tra materia pittorica, disegno, fotografia, assemblaggio e scultura, Pennisi attira la nostra attenzione sull'apparato concettuale che struttura la mostra, ci invita ad interrogarci sul fondo ideologico che i suoi lavori tramano a vista con lucida, autentica passione ideale, e solo in ultima istanza e con discrezione affigge alla nostra vista la segretezza del corpo dell'opera, se vogliamo vederla: dipende dal nostro desiderio.
Come ogni artista di lungo corso, Pennisi non si preoccupa di fare evolvere la sua arte secondo le effemeridi dei gusti, bensì l'allontana dal nostro sguardo curioso che l'abitudine alla novità rende guardone verso ogni corpo d'arte che si presenti discinto e senza storia; la misura con altre opere non necessariamente figurative, con i temi alti e non necessariamente attuali del dibattito intellettuale, temi ieri di rilevanza sociale e politica, e oggi commisurati alle esperienze coscienziali dell'artista stesso, al soggetto che è Pennisi nel corso del suo dipingere.Ciclo indubbiamente forte fra tante debolezze di proposte figurative, Sadici sovvertimenti sinsinua nel varco drammatico che più agita oggi le proposizioni della discussione storico-critica e le risoluzioni degli autori-artisti: nel distacco crescente tra la necessità dell'analisi metalinguistica e il caso dell'apparizione senza preallarmi né memoria, tra la metapittura e il liquido narrar dipingendo nel corpo dell'immagine. Pennisi analizza e racconta, mostra e insieme dimostra, tenendo riunite molte cose che tra loro si torturano. Ma non è Sade a prevalere.Nelle tre sale della mostra, che ci conducono lungo le tappe di un crescente recupero della vittima dalle mani carnefice, dal primato dell'immagine che rimedia alle nefandezze ideologiche della scrittura, della salvezza dell'immaginazione da un immaginario concentrazionario e orrorifico; lungo questo percorso che risulta a ben vedere strutturato sui tre livelli del linguaggio (il reale nel viatico introduttivo, l'immaginario nella scena dei delitti contro l'umanità e il simbolico nei simulacri oggettuali che personificano i delitti contro l'uomo), sono alcune immagini, alcuni oggetti di convincente qualità e bellezza che ci liberano dall'angoscia della cornice Sade. È Pennisi a prevalere e il primato a me molto caro dell'arte sulla scrittura. Sadico è stato solo il percorso; vai la pena che lo si percorra sino in fondo; per quanto formalmente piagati, torturati, orrorifici, i pezzi di quest'opera, le tele, i disegni, certi oggetti, si riscoprono intatti, corpi splendenti di un'attività che crea e non distrugge.
SADICI SOVVERTIMENTI
di Paolo Pennisi
Scrivere e parlare di potere quando sessualità ed erotismo chiamano la memoria a De Sade: come può essere?Equazione sessualità: l'aspetto motore, nascosto e osceno di una intimità profonda e più terribile, trasfigurata dalla esasperazione di sé, dall'angosciosa ossessiva ricerca della violenza contro tutto ciò che vive, e dunque per primo contro l'uomo (cosa è più vivace, appassionante e creativo del sesso), e contro l'altro (l'avversario/nemico), ma anche allora autolesionisticamente, violenza esasperata per marchiare e macchiare tutto e tutti (persone e sogni, infanzia e purezza, pervertite immagini e regole sociali di ogni tempo). È un sesso che non chiama a liberazioni da antichi tabù, a riscatti da servitù o umiliazioni collettive.È una sessualità che di fronte all'autoriconoscimento come valore assoluto e perciò empirico e rivoluzionario, afferma una creatività razionale e non «semplicemente» fisica, afferma la non distruzione e la costruzione di un progetto. Quale?
Il sentire eretto del corpo schiavo e insieme autocompiacente, repellente e urtante nel linguaggio e nelle forme, è in realtà opera pura di infingimento e di trasvestimento transfusa da ogni canone di società, qualsiasi, partecipata e raccontata «a freddo» per la violenza sempre immanente ma insieme sempre immaginifica. Sono proiezioni di immagini dai significati proposti e imposti crudemente che il potere assume in sé in quanto tale e perciò sempre.
Si parla del POTERE, del suo fiato aggredente ma regolato sempre da leggi, le sue. Ma si tratta di leggi e di regole, non di arbitrio.
Il fine è la necessità di trasformare l'idea in IDEOLOGIA, il quotidiano in ORGANIZZAZIONE, di sentimenti e di passioni, in sostanza di fatti e di elenchi, archivi, scelte, di statistiche; infine si tratta di un freddo appropriato elenco della personale insensibilità e riproposizione cosciente (sadica) ma non impazzita, senza più alcun senso di alcun genere conosciuto e comune, o banale.
A capo vi è una logica intrinseca fatta di successive trasumanazioni della propria ossessione in una griglia di regole che assumono «volgarità» di Religione Stato Dogmi Gerarchia Leggi Comandi Esecuzioni, tentativo di ogni uomo ed epoca di superare i confini della mortalità con la finzione di una costruzione architettata, inchiodata in un ordine eterno che abbia come stemma l'immutabile l'innato l'immoto l'assurdo l'insensibile il mistero, con l'esclusione totale del Divenire, inconscio e mutevole, e dunque dell'io creativo.
Con le 120 GIORNATE DI SODOMA, viene smascherato questo sopruso millenario, questa paranoica ansia degli uomini associati di confinare la morte in una fase intermedia tra vitalità ed eternità, regalandole insieme i due carismi della puerilità e del sangue sparso violentemente. La tortura e la morte sono assunti a semplici atti del quotidiano, come il respiro e il sonno, come iniziare a vivere e cominciare subito dopo a morirsi. Sono regole e basta, che vanno spogliate da ogni simbolo significato idealtà, speranze e illusioni.
Il valore della vita umana (la sua morte) non solo viene rifiutato ma è addirittura impossibile quando De Sade «annuncia» (da grande superbo mistico egli sceglie di annullarsi in vita e in morte attraverso lo scrivere piuttosto che con l'agire per non dovere rinunciare alla sua scoperta) che il POTERE, qualunque potere, di ogni finzione e messaggio, contro o verso chiunque si rivolga, ha sempre e comunque l'unico destino di stabilizzarsi e crescere come neutra macchina saturnina divoratrice e insieme produttrice di violenza e insensibilità totalizzante.
Le passioni i dolori, le angosce e allegorie, le tenerezze, tutti gli infiniti tormenti e affetti dell'uomo appartengono alla vita; dunque il potere li esclude, li rende opachi e nascosti. Al contrario il numero, l'organizzazione, l'ossessione della logica ad ogni costo esistono per escludere impedire discriminare legare. La contraddizione e l'ansia del domani sfinito sono la vita; la struttura, la teoria, elaborazioni, schemi, paradigmi, sono il potere.
De Sade non contrasta il potere con altre forme di vita, parla del potere solitario senza amici né avversari.(')
IL POTERE è dunque male?
Più semplicemente il Potere è se stesso, serve ed obbedisce a se stesso, si stimola, si autoriproduce, si rende impermeabile ad ogni cambiamento.La illusa utopia di abbattere un potere! Altri poteri che annullassero una forza antagonista in realtà riuscirebbero solo, ingoiandone i resti, a rigenerare vecchi tabù, leggi eguali, ordinamenti regole dogmi, nel trionfo assurdo e paradossale (se non fosse tragicamente corroso e smascherato dal sangue) di piramidi di carni ordinate legalizzate obbligate dalla base ai vertici nello stesso identico gioco ad incastro, riproposto a specchi infiniti.
Questa macchina (nulla spiega meglio del marchingegno omicida del «bagno penale» di Kafka cosa sia l'orrore, ineluttabile ed insieme morbosamente suggestivo) è il nostro marchio civile, vale per tutti, affascina nella coscienza più interiore consapevoli ed ignari, torturati e sereni, graffiati di immaginazione o smarriti da ogni speranza; e se ci vogliamo bene o ci disprezziamo, se ci sforziamo di .rimanere lucidi o ci angoscia il delirare, il POTERE ormai cresciuto e onnipotente ci permette ciò che vogliamo, non ci impedisce la ribellione o di collaborare, è solo questione di ruoli, ci schiude lo schema che ci possa contenere sorridendo, anche l'urlo viene confezionato a dimensione ...la cosa importante è lo schema, uno schema.
...Ora il potere può impazzire (è questa la sua ultima regola). Non viene prevaricato o sopraffatto, ma si stabilizza avendo prevaricato e stabilizzato tutti i sentimenti. La tortura che porta alla morte di Giustine è ancora «umana», perché piena di dolore e sofferenze, sia pure insensibili e incoscienti, di odio senza giustificazione né accanimento ma di solo mestiere di boia. Il terribile accanimento di aguzzino, la ferocia del martirio, così crudele da apparire impossibile sono solo il viatico per il viaggio assoluto dei sentimenti per sempre negati...